MOGU: il biomateriale che nasce dai funghi

Design e scienza insieme per un’economia circolare

Texture e tattilità sono le prime cose che catturano l’attenzione quando si tocca con mano uno dei materiali innovativi di Mogu. Le consistenze divengono quasi camaleontiche: a seconda dei processi di lavorazione ai quali la materia prima viene sottoposta, infatti, si ottengono prodotti che ricordano il velluto, la pelle o il cuoio; altre volte invece si presentano sotto forma di moduli più duri e resistenti, come piastrelle di cotto o blocchi di compensato.
Pensare che tutto sia fatto di funghi è un qualcosa che lascia sbalorditi.

Mogu è il risultato di un incontro simbiotico tra più discipline, in particolare tra un gruppo di giovani italiani frai i quali ne spiccano in particolare due: Maurizio Montalti, designer sperimentale e transdisciplinare che da anni porta avanti una metodica ricerca attorno al mondo dei funghi nel suo studio ad Amsterdam sotto il nome di Officina Corpuscoli, e Stefano Babbini, ingegnere ambientale da sempre impegnato in progetti innovativi nel campo delle biomasse e dell’energia verde.

Made in Italy Lab li incontra per saperne di più sul loro progetto in fatto di biomateriali ed economia circolare.

Maurizio, iniziamo da te: raccontaci cos’è Mogu.

Il termine deriva dal cinese ed è uno dei tanti nomi che si utilizzano in questa lingua per dire “fungo”. Mogu è una giovane azienda che mira a sperimentare, sviluppare e commercializzare una grande varietà di biomateriali derivanti dalla combinazione del micelio, cioè l’apparato vegetativo del fungo, con gli scarti agroindustriali. L’obiettivo di questi biomateriali è di proporsi come alternative responsabili alla grande varietà di tradizionali materiali sintetici e/o altamente inquinanti, come ad esempio le plastiche e non solo.

Mogu, biomateriali ottenuti da fibre di scarto

Differenti tipologie di biomateriali ottenuti da fibre di scarto dell’industria agroalimentare

Come nasce l’idea di sviluppare questo biomateriale?

L’avventura di Mogu inizia nel 2015 a Varese, come naturale proseguimento delle ricerche effettuate da Officina Corpuscoli nel campo della micologia, ma con una rinnovata anima imprenditoriale e con l’obiettivo di tradurre certi risultati in processi e protocolli standardizzati per portarli su scala commerciale e industriale.
In questo modo un progetto che nasce da una sperimentazione artistica, un’intuizione o una ricerca scientifica può essere reso concreto e trasposto nel mondo del mercato di massa per portare beneficio alla collettività.

Quante cose si possono realizzare con i funghi?

Possiamo realizzare una serie di prodotti derivanti da biocompositi. I biocompositi danno vita a una famiglia di materiali molto leggeri e spesso porosi spendibili nel settore dell’architettura, dell’interior design e della bioedilizia per produrre rivestimenti e pannelli che sfruttano le proprietà morfologiche del materiale, in modo da utilizzarlo anche come isolante acustico o termico.
In questo periodo stiamo sviluppando anche moduli per pavimentazioni con finiture a base di resine naturali o altre sostanze, sempre biologiche, che sposino quindi la nostra filosofia e il messaggio che vogliamo trasmettere.

Inoltre, stiamo sviluppando con grande impegno una nuova famiglia di materiali flessibili, da proporsi come alternative ai tradizionali materiali tessili o ai pellami di origine animale, andando a toccare il grave impatto ambientale, nonché in alcuni casi il fattore etico, realtivi ai processi di produzione dei settori correlati.

Piastrelle con finitura in resina biologica naturale

Prototipo di pavimentazione con finiture a base di resine naturali biologiche

Altri settori di applicazione?

Tantissimi. Le applicazioni dei biocompositi leggeri sono molteplici, stiamo facendo ricerca applicata anche sui settori del packaging, dell’automotive, dei legni compositi, dei vasi per orticoltura e dei prodotti biodegradabili a largo spettro. Nonché, come citato, settori relativi alla filiera del tessile e del pellame, andando a contribuire alla creazione di valore ed innovazione nel campo della moda (fashion Industry).

Il pubblico cosa pensa di questi biomateriali realizzati con i funghi? Pensa che si tratti di qualcosa di nocivo oppure ne intuisce le potenzialità?

Questo fa parte del processo di industrializzazione. Industrializzare non significa solo produrre in grande quantità, ma significa creare un prodotto che sia fruibile e recepibile dal consumatore. Per questo motivo stiamo portando avanti vari studi del mercato, attraverso programmi di ricerca dedicati: tramite approccio scientifico, analizziamo la reazione che le persone hanno quando vengono a contatto con i nostri materiali e di conseguenza esaminiamo la relativa esperienza sensoriale che ne deriva.

Che tipo di reazioni avete riscontrato?

Abbiamo potuto osservare come si passi per diverse fasi, che partono a volte dalla diffidenza mista a curiosità, per poi sfociare in totale stupore, il cosiddetto wow factor. É importante puntualizzare che tale approccio non mira a convincere le persone, ma ha come obiettivo primario quello di contribuire a innescare un fondamentale cambiamento culturale.

Mogu, materiali innovativi con funghi

Esempi di materiali ottenuti da diverse lavorazioni del micelio che ricordano velluto, pelle e cuoio

Qual è la cosa più importante che vi preme comunicare?

Il nostro obiettivo principale è educare il nostro pubblico al fatto che “la magia” relativa ai nostri materiali non sia da identificarsi esclusivamente nel wow-factor, che riteniamo essere un fattore sì importante, seppur secondario. Al contrario, il nostro intento è di dimostrare in maniera concreta che tali materiali innovativi derivanti da processi di crescita biologica e valorizzazione di scarti di varie filiere, sono soprattutto estremamente performanti dal punto di vista sia tecnico che applicativo.

Inoltre consideriamo importante che il grande pubblico venga a conoscenza del ruolo fondamentale che i funghi svolgono nel nostro ecosistema. La società del secolo scorso ha creato un’immagine sbagliata attorno a questi organismi, relegandoli troppo spesso all’esclusivo ruolo di agenti patogeni, ma esistono migliaia di specie fungine e la maggior parte di esse rappresentano, al contrario, una risorsa benefica in tanti campi, come ad esempio anche quello medico.

Quello che cerchiamo di comunicare è che assolutamente possibile collaborare con sistemi viventi troppo spesso alieni alla cultura umana, comprendendone le dinamiche di crescita e i relativi comportamenti, per creare categorie alternative di materiali biodegradabili e performanti che non giustifichino però il mantenimento di un comportamento irresponsabile quale quello dell’usa e getta; infatti tali materiali biologici possono essere estremamente durevoli, seppur alla fine del loro ciclo di vita siano riassorbibili dall’ecosistema diventando non più un danno ma un beneficio e un nutrimento.

Stefano, il vostro processo produttivo si basa sul concetto di economia circolare: quali sono le fasi principali?

C’è una prima fase che si sviluppa in campo agricolo e vede la produzione della materia prima, in collaborazione con aziende del settore alimentare. La seconda fase è invece più applicativa, perché riguarda la tecnologia dei materiali e la creazione dei prodotti, che sono poi il nostro core business.

Collaboriamo con aziende che ci forniscono delle fibre di scarto, eseguiamo poi un pre-trattamento di tipo termico, sterilizzandole per renderle idonee alla crescita di specifici ceppi fungini all’interno di batch appositi per andare a creare una sorta di malta biocomposita viva.
Questo composto a base di fibre organiche, una volta raggiunto il periodo di piena colonizzazione, viene poi rimescolato e triturato e messo in forma in degli stampi.

Fasi crescita e sviluppo del micelio

Stadi di crescita del micelio

A quel punto sono due le strade possibili: o si va direttamente verso un processo di essiccazione nel caso si voglia ottenere un materiale molto leggero, oppure si passa attraverso una fase di post-processing, come ad esempio quella relativa a trattamenti meccanici, che rendono il materiale compatto e con caratteristiche tecniche più performanti.
La fase di rifinitura viene eseguita con oli, cere o resine biologiche, a seconda dell’applicazione specifica a cui il prodotto è destinato.

Ovviamente ci sono poi molte variabili e parametri che ci permettono di ingegnerizzare ed ottenere biomateriali con specifiche proprietà e relative possibilità riguardo ad applicazione differenti. Alcuni dei principali parametri sono: dimensione delle fibre, tipologia di fungo, condizioni di crescita e finitura, che contribuiscono ad interagire in molte combinazioni diverse.

Che rapporto avete con l’agricoltura e gli agricoltori?

Abbiamo all’attivo un grande numero di collaborazioni con fornitori che vanno dalla piccola azienda agricola alla piccola-media impresa italiana, principalmente lombarda, fino ad arrivare ai colossi come Barilla, spesso situati all’interno di alcuni progetti Horizon 2020 che contribuiamo a portare avanti.

Fare business in Italia: pro e contro.

Noi italiani abbiamo grande inventiva, le intuizioni e gli slanci creativi non ci fanno di certo difetto.
Poi però, all’atto pratico, ci si rende conto che in Italia è molto difficile fare impresa. Creare una start-up vuol dire gestire una vera e propria azienda che deve entrare in un mercato, iniziare a vendere, restare in piedi e svilupparsi.
Purtroppo, nel nostro bel paese spesso mancano le condizioni giuste che aiutino a rendere fluido questo percorso. Ci sono punti critici a livello politico, infrastrutturale, burocratico. Gli stessi finanziamenti per queste nuove attività sono pochi e limitati.

Devo dire però che anche una mentalità più flessibile non guasterebbe e credo che ci sia la necessità di raggiungere un livello di cultura d’impresa più elevato.

Oggi si sente sempre più spesso parlare di innovazione.

L’innovazione per me è percorrere una strada alternativa. Provo a spiegare cosa intendo con una metafora: è come quando si torna in una città che crediamo di conoscere e di cui però percorriamo sempre le stesse strade, i soliti tragitti abituali, i percorsi più turistici e consolidati, che spesso sono anche i più comodi. Ecco, l’innovazione nasce quando decidiamo di prendere strade alternative, di esplorare zone sconosciute. Ed è proprio lì che si scoprono cose nuove.

Quindi fare innovazione è un po’ perdersi?

Certo. Innovazione vuol dire anche perdersi, specie in una fase iniziale di sperimentazione, quando si aprono infinite possibilità e sembra quasi che rischi ed opportunità si sovrappongano. L’importante è non perdere di vista l’obiettivo di fondo.

 

Made in Italy Lab ringrazia Maurizio Montalti e Stefano Babbini per le informazioni condivise sui loro progetti innovativi con i biomateriali.

 

Mogu
https://www.mogu.bio/
Via San Francesco d’Assisi, 62
Inarzo (VA)
Lombardia


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